Nel lontano 1972, il sociologo francese Jean Baudrillard, così definiva il design: “Nulla sfugge al design: è la sua fatalità” .
Ma se tutto è design, e nulla gli sfugge, cos’è il design precisamente?
Fino alla fine degli anni ‘80, il termine design è sinonimo di disegno industriale, soprattutto in Italia, dove si è radicata una cultura specifica della progettazione, profondamente legata all’espansione industriale a partire dal dopoguerra.
Nel 1971, in Artista e Designer, Bruno Munari spiega che il “il designer è un progettista dotato di senso estetico, che lavora per la comunità”.
Oggi il design appare come uno strumento di costruzione identitaria; come un elemento di differenziazione del mercato in quanto permette di dare valore alle persone, coinvolgerle, farle sentire parte viva, renderle partecipi dei problemi e stimolarle nella generazione di idee innovative.
E’ calcolato e dimostrato che le aziende che aderiscono al processo di design aumentano il proprio valore. Fondazione Symbola nel 2017 ha avviato un osservatorio sul settore e con Deloitte ha elaborato il rapporto Design economy dove si legge che “la percentuale di imprese che hanno aumentato i volumi di fatturato è quasi dieci punti percentuale superiore per le attività imprenditoriali design oriented (35%) rispetto alle altre imprese (27,2%)”. Nel nostro settore il design, oltre a consentire un metodo organizzativo, gestionale, strategico e progettuale ben definito, permette di dar vita ad una nuova visione degli spazi: da come vengono pensati e da quali emozioni sono in grado di trasmettere; elementi che aumentano il comfort abitativo ma il valore dell’immobile stesso.
Grazie ad un buon design, ogni esigenza è soddisfatta da un pensiero progettuale che tende alla perfetta gestione degli spazi e all’ottimizzazione di ogni dettaglio.